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Poco più di un mese fa Monini, rinomato marchio dell’olivicoltura italiana e internazionale con sede a Spoleto in Umbria, presentava il nuovo piano sostenibilità 2020-30 (leggi: articolo ANSA 26/05/2020).
Fra le varie iniziative la realizzazione del “bosco Monini”: un milione di olivi messi a dimora in 1'000 ettari di terreno che l’azienda definisce “Un nuovo polmone verde capace di assorbire in 10 anni 50.000 tonnellate di CO2”. L’articolo di ANSA, inoltre, parla di agricoltura “superintensiva”, “integrata e biologica”, “puntando a ridurre i consumi di acqua investendo nella produzione e irrigazione”, di “massima efficienza” e “ricerca per promuovere la cultura nutrizionale consapevole”. Parole che suscitano grandi speranze, e sembrano garantire un impegno serio nel migliorare il mondo in cui viviamo.
La notizia ci desta però ben più di un dubbio, e ci impone di portare nuovamente alla ribalta il tema della sostenibilità.
A proposito ci pare interessante citare un editoriale di Teatro Naturale (leggi: articolo TN 05/06/2020), che prende decisamente posizione contro questo progetto, che ritiene assoggettato alle sole dinamiche di un profitto speculativo a discapito dell’ecosistema e dell'eredità culturale dell'olivicoltura. Secondo l’editoriale il superintensivo porta con se pesanti strascichi: “disastri in quanto a fertilità del suolo, inquinamento delle falde freatiche, paesaggio, concorrenza sleale e perdita di identità per i restanti territori olivicoli dell’intero Paese”. Ed esperienze estere, ad esempio in Spagna (leggi: OLIVE PRESS 29/04/2017), sembrano avvalorare questa tesi. La riduzione della CO2, che Monini pone fra i propri obiettivi, è certo una necessità condivisa. Ma le strategie da mettere in gioco non possono avere conseguenze tragiche in altri ambiti. Deve essere ben chiaro a tutti, dal produttore al consumatore finale, che la sostenibilità - o meglio lo sviluppo sostenibile - è un concetto a suo modo semplice, almeno nell’obiettivo che si pone: soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni (a proposito rimandiamo al famoso rapporto Brundtland, UN 1987). Come è quindi possibile definire sostenibile una pratica che riduce la CO2 ma compromette ad esempio la fertilità del suolo? Per non citare le altre criticità evidenziate da Teatro Naturale.
La necessità di abbattere i costi di produzione è diventato un leitmotiv più o meno celato, in nome del quale sembra tutto sacrificabile. Ma "sostenibilità economica" non va automaticamente di pari passo con "Sostenibilità". E nel caso della produzione agricola è bene tener presente che ogni pianta è un soggetto attivo, che nasce, cresce e si riproduce grazie a relazioni: col suolo, con l'acqua, con l'aria e con altre piante. Un approccio di tipo industriale è quindi di per sè pericoloso, perchè rischia di trascurare - o addiritttura di sacrificare - una o più fra queste relazioni. Con conseguenze nefaste.
Parlando di olivicoltura superintensiva, inoltre, si ripropone un tema molto spinoso: le cultivar che meglio vi si prestano sono il frutto di incroci ad oggi di proprietà di pochissime aziende (a proposito consigliamo la lettura di un articolo datato, ma sempre attuale, di Teatro Naturale: TN 30/11/2018).
Agricoltura intensiva e superintensiva - solitamente caratterizzate da una monocoltura - non sono ancora temi che interessano il contesto italiano su vasta scala, ma si stanno proponendo come un’alternativa allettante. E il caso citato in apertura ne è un esempio. Riuscire a coprire il fabbisogno di cibo di una popolazione mondiale in costante crescita è uno dei “mantra” dei promotori di questa impostazione, ma gli effetti collaterali sembra siano ben più numerosi dei benefici (a proposito vi rimandiamo all’interessante articolo del 11/04/2017 sul sito de Il Bosco di Ogigia).
Allora, da amanti della Permacultura, vi proponiamo un approccio ai grandi bisogni dell'uomo di cui vi abbiamo parlato un po' diverso: la lettura del manuale di progettazione di Bill Mollison, nella traduzione italiana di Mediperlab. Vi chiederete: perché? E cosa c’entra con la sostenibilità? Lo chiarisce questo breve articolo di Terra Nuova del dicembre 2004:
“Guardare al mondo con gli occhi della permacultura significa osservare la natura e lasciare che le relazioni che connettono tutti gli elementi presenti in un ambiente, esseri umani compresi, possano emergere. Dall'osservazione della natura sono, infatti, nati i principi di progettazione ed i principi etici, basi irrinunciabili della permacultura, che altro non sono che regole generali nutrite di esperienza, conoscenze scientifiche e presa di coscienza, che supportano l'aspirante permacultore, nello sviluppare le proprie personali risposte alle esigenze che si presentano. Permacultura è, infatti, progettazione ecosostenibile di sistemi il più possibile stabili ed energeticamente efficienti, ma non solo. È anche, o forse soprattutto, lo sviluppare una consapevolezza della nostra dimensione nel mondo, e del nostro essere parte della natura e, perciò, capaci di influenzare il mondo con ogni nostra azione. Una volta divenuti consapevoli dell'ambiente in cui viviamo, e delle risorse disponibili, agiamo e progettiamo in maniera rispettosa dell'ambiente e della comunità umana.”
Se mentre cercate di reperire il manuale non volete perdere tempo vi consigliamo questi interessanti articoli:
Permacultura e Transizione osservazione in Permacultura
Permacultura e Transizione: 8 modi per osservare in Permacultura
Noi intanto continuiamo a prenderci cura dei nostri alberi: pochi in filari e tanto disordine, alcuni spelacchiati, altri contorti, altri aggrappati a scoscesi pendii... ma lì da oltre due secoli nonostante tutto!